Stuprato dal vicino racconti erotici shotacon yaoi gay

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racconti erotici gay

racconti erotici gay Rientrai a notte fonda mezzo brillo. I miei erano in montagna e mio fratello al mare con la ragazza. Mi entusiasmava la certezza di poter tornare a casa all’ora che mi pareva senza dover sentire prediche.
Accesi la luce ma la luce non si accese. Vagai nel buio del corridoio per cercare l’interruttore generale
pensando che fosse saltato ma non ci arrivai. Mi sentii afferrare da un braccio che si strinse possente
attorno al mio collo. Non feci in tempo a urlare che una mano mi tappò la bocca. Mentre mi si stava
congelando il sangue nelle vene cercavo di divincolarmi per liberarmi da quella teribile morsa senza
riuscirci. Una voce mi mormorò all’orecchio “Tranquillo, non devi avere paura, non ti farò alcun male.
Se mi prometti di tacere ti tolgo la mano dalle labbra, ma me lo devi promettere!”. Con alcuni versi
gli trasmisi la promessa che non avrei urlato. La mano che mi serrava la bocca si staccò. Ma il mio
cuore continuava ad andare per conto suo. Avevo paura, una dannata, stramaledetta paura.
“Sei un ladro, un assassino, un drogato? Chi sei?” trovai la forza di sussurrargli mentre la mano che
prima mi chiudeva la bocca era passata alla schiena portandosi dietro le mie mani bloccandomele.
“Niente di tutto questo” rispose con un tono molto pacato ed elegante, sembrava anche giovane dalla
voce. Sentii come il suono che fa la cartanastro quando la svolgi dal rocchetto. Si, era carta nastro, o
carta da pacchi, me la stava passando attorno a tutto il busto imprigionandomi le braccia dentro.
“Cosa stai facendo??” chiesi sempre in modo sommesso. Non cercai neanche più di divincolarmi
paralizzato com’ero dalla più profonda paura. Sapeva destreggiarsi bene anche al buio, in pochi
secondi era riuscito a immolizzarmi completamente con quel dannato nastro adesivo. “Perchè mi hai
legato? Che vuoi da me?”
“Perchè hai così fretta di sapere le cose? Ti ho detto che non voglio farti male, sono sincero, devi
credermi. Le gambe non te legherò, devono restare libere…” “Perchè devono restare libere? che vuoi
farmi??” questo glielo chiese alzando il tono della voce. “E’ inutile parlare forte. Ho controllato. Sono
tutti in vacanza in questo condominio. Quindi cerca di fare come hai fatto fino adesso, se no mi fai
innervosire e quando poi mi innervosisco potrei diventare cattivo!”. Balbettai “Ok, parlo piano. Chi
sei?” “Chi sono? Io abito nel palazzo di fronte. La mia finestra dà sulla tua camera da letto ed è tanto
tempo che ti osservo. Ti guardo mentre stai al davanzale, ti guardo quando ti vesti, quando ti spogli,
quando giri nudo per la stanza. A te piace eccitare gli altri vero?” Intuii che era uno psicopatico, un maniaco e per giunta frocio.
“Io non voglio eccitare nessuno, l’ho sempre vista chiusa la finestra di fronte alla mia, nessuno
poteva vedermi!” “Nessuno a parte me! Non avevo bisogno di alzare la tapparella, ho installato
una telecamera praticamente invisibile e seguivo ogni tua mossa su uno schermo gigante.
Sei il mio attore preferito. Una volta ti ho anche visto sesso violento italiano mentre ti masturbavi sul letto, l’hai fatto di
giorno e c’era luce. Però lo schizzo me lo sono perso, anche con uno zoom potente quel
particolare purtroppo mi è sfuggito! Cerchiamo di rimediare adesso, che dici?”
Mentre mi parlava stava passando le dita sulle mie labbra, anche delicatamente ma la cosa mi
dava molto fastidio. “Senti, ti prego, lasciami stare, vai via da qui, ti prego VATTENE!!!”
L’ultima parola la urlai e poi scoppiai a piangere preso dalla disperazione, non piango mai, quella fu
una delle uniche volte.
“Sei molto agitato, troppo, devi calmarti, con questa vedrai, starai meglio”. Sentii come pungermi il
braccio e sentii del liquido che entrava. Doveva avermi iniettato qualcosa quel pazzo. Le mie
forze cominciarono a vacillare. “E’ solo un tranquillante, non ti addomenterai, non devi addomentarti,
ti voglio sveglio”. Mi sentivo come rimabecillito, smisi anche di singhiozzare, non avevo neanche più
la forza di parlare, ma ero lucido, tutte le percezioni mi arrivavano nitide e chiare. “Vieni -mi disse
sorreggendomi con le braccia perchè facevo un pò fatica a camminare- andiamo nella tua stanza!”.
Non avevo ancora realmente capito cosa volesse fare di me, o forse si, si invece, l’avevo capito.
Voleva abusare di me, sfogando le sue schifose bramosie da frocio pervertito. Conosceva bene
la disposizione delle stanze perchè anche al buio riuscimmo ad arrivare in camera mia in cui
dalla finestra filtrava un leggero chiarore notturno. Mi adagiò sul letto. Dal rumore dei passi si
allontanò per qualche istante, giusto il tempo per ridare la luce. Doveva aver premuto l’interruttore dell’applique sopra il letto che si accese all’improvviso dandomi quasi una sferzata agli occhi.
Il mio cuore riprese a correre all’impazzata. Mi aspettavo che adesso lui rientrasse in camera e
l’idea di trovarmi davanti un uomo con una maschera o un cappuccio in testa che avrebbe voluto
violentarmi mi stava facendo andare nei pazzi. Ma niente tutto questo.
Entrò un ragazzo giovane, avrà avuto 19-20 anni, con lineamenti delicati e l’espressione un po’ da
bambino, mi ricordava vagamente l’attore Di Caprio. Mostrò uno smagliante sorriso, si chinò di
fianco al letto e parlò. “Pensavi che non volessi mostrare la mia faccia, vero? Adesso che invece
mi hai visto va meglio? Non hai più la stessa paura di prima, lo sento!”. “Ma cosa vuoi sentire?
Mettitici tu nei miei panni e poi mi sapresti dire che significa stare immolizzato davanti a uno
psicopatico!”

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Il suo volto divenne quello di un cane rabbioso, la sua mano si scagliò con tutta la sua potenza
sulla parte destra del mio viso. Il dolore di quello schiaffo fu lancinante come il suo urlo quando
disse “Non sono uno psicopatico! Non permetterti mai più di chiamarmi così!”.
Capii che non stava scherzando, pur avendo un viso dolce da ragazzino gli istinti che lo muovevano
erano davvero quelli di un pazzo. Restai in silenzio, ogni mia parola detta avrebbe potuto peggiorare
le cose. Si calmò e tornò a sorridere. Mi accarezzò la guancia colpita “Mi dispiace averti fatto male,
ma è stata colpa tua!”. Si avvicinò col suo viso al mio e mi passò la lingua sulla parte ancora dolorante
per qualche secondo passati i quali portò le sue labbra sottili sulle mie. Mi diede un bacio ma la mia
bocca restava inerte e immobile. “Apri le labbra -disse cercando di essere suadente”.
Fui obbligato a farlo, ero nelle sue mani, se avessi disobbedito avrebbe potuto reagire ancora con
violenza. Provai un gran disgusto quando la sua lingua entrò nella mia bocca ma non lo esternai e feci
finta di gradire per renderlo più mansueto. Fu interminabile quel bacio, non la finiva, dovevo piacergli
davvero perchè mi baciava come bacia una persona che ama. Poi si staccò lasciando un lungo filo di
saliva tra mie labbra e le sue. Il mio disgusto aumentava ma lui sorrise ancora e io cercavo di capire
quale fosse la prossima mossa. Quella di slacciarmi la cintura, di abbassare pantaloni, di togliermeli
dopo avermi levato le scarpe. E la prossima ancora appiccicare la sua faccia ai miei slip, annusarli,
leccarli. Sentivo la sua lingua passarci sopra, sentivo che me li stava bagnando. Poi me li tolse del
tutto e le sue mani e il suo naso arrivarono direttamente all’uccello che mi scappellò piano per
poi scandagliare con le narici il mio odore. “Ma questo è odore di cazzo sborrato da poco!?” esclamò.
Si alzò e si chinò di nuovo accanto a me. Era tornato serio, cattivo. “E chi ti ha fatto venire? Chi ha
avuto tanta fortuna??” “Ho fatto l’amore con la mia ragazza prima” risposi a bassa voce. “Ma chi?
Quella bionda con le tette rifatte e con le labbra da bocchinara?? Quella che ogni tanto ti porti qui
quando i tuoi non ci sono?”. Doveva aver visto anche lei con quella dannata telecamera, comunque
era lei, e glielo confermai annuendo col capo. “E perchè non te la sei portata qui visto che i tuoi non
ci sono?”. “L’abbiamo fatto a casa sua, neanche i suoi di lei c’erano!”. “E hai il coraggio di dirmelo,
come se niente fosse, dimentico del fatto che io ti amo alla follia? Me lo dici così??” mi urlò.
Prese a camminare su e giù per la stanza video porno gay italiano continuando a vaneggiare. “Non è giusto che uno come
te abbia una donna, non è giusto, tu hai già chi ti ama, sono io quello!”. “A me piacciono le donne,
non gli uomini!”. Sapevo che quella mia frase non sarebbe piaciuta ma mi uscì spontaneamente, non
riuscii a trattenerla. Si fermò, mi guardò fisso con quei due occhietti azzurri che brillavano di follia.
Poi riprese ad andare su e giù. “Calmo! Devo stare calmo! Calmooo! -disse muovendo nervosamente
le braccia-“. Poi tornò mi tornò vicino per accarezzarmi il viso. “Hai usato il preservativo almeno??”
“Lo uso sempre!” risposi. Sospirò rasserenandosi “Mi sento già molto meglio…!per cui il tuo uccello
è impregnato solo dei tuoi umori, e non di quelli della tua ragazza, è così?”. “E’ così” risposi. Si rituffò
a capofitto sul mio cazzo annusandolo nuovamente. Ma annusarlo non gli bastò e lo fece scomparire
in bocca. Anche se intontito, ancora terrorizzato, cosciente di essere in balia di un folle, ammetto,ci
sapeva fare. Non avrei mai immaginato mi divenisse duro e non avrei mai immaginato di avvertire brividi
così intensi come quelli che mi stava facendo provare succhiandomi. Mi prese in bocca anche le palle sempre magistralmente. Nel frattempo si era tirato giù la cerniera dei suoi pantaloni, il rumore fu quello
e sicuramente la mano che non era impegnata col mio si dedicò al suo uccello. Tornò a insalivarmi la cappella facendola entrare e uscire ripetutamente dalla sua bocca. Ero sconvolto, pietrificato, ma ero
anche eccitato, moltissimo. La soddisfazione non gliela diedi, non emisi alcun gemito che indicasse
piacere. Emisi il gemito solo nel momento in cui, dopo avermi stuzzicato l’ano con un dito, ci entrò
dentro, senza tanti preamboli, in un colpo solo. Mi fece male, e molto, avevo il culo stretto, neanche
una supposta l’aveva mai violato. Imperterrito per i miei lamenti cominciò a muoverlo, a rotearlo,
infilandolo sempre più in profondità. Mi stava masturbando il culo quel porco schifoso, ma il piacere
datomi dalle sue labbra che continuavano a spompinarmi diabolicamente riuscì a bilanciare quella
sofferenza. E il dito come era entrato poi uscì. La sua bocca si staccò dalla mia cappella infuocata.
Si alzò in piedi sorridendo, mostrando nella mano destra il suo cazzo, non molto grande e duro come
una banana acerba. Pensavo volesse sbattermelo in bocca ma non erano quelle le sue intenzioni. D’improvviso mi prese le gambe e le inarcò verso l’alto fino a fare aderire le cosce al mio petto ancora
serrato dagli infiniti giri di carta nastro.
Mentre con un braccio mi teneva ferme le gambe in modo che non abbandonassero quella posizione
con la bocca prese a tormentarmi il buco del culo, solopornoitaliani completamento aperto ormai da quella ingegnosa
manovra. Nessuno mi aveva mai fatto questo e sentire una lingua bagnata ripassare le superfici del
mio sfintere mi provocò ancora brividi. Leccava all’impazzata spargendo saliva e piacere ovunque, i
miei versi stavolta si fecero sentire e lo sottolinearono. “Sei solo un gran maiale” fu il suo commento
dopo aver staccato la bocca da dove si trovava. Ma quel che aveva fatto aveva un suo perchè e uno
scopo. Lubrificarmi per far entrare meglio il cazzo duro che appoggiò sul mio buco muovendolo insistentemente. Spinse dentro prima la cappella e poi tutto il resto. Urlai dal dolore, mi sembrava di
essere stato trafitto da un palo che dopo essere entrato dal culo mi arrivava allo stomaco, alla gola, al cervello. Urlai ancora, gemetti, singhiozzai, piansi. Poi forse persi i sensi ma li ripresi subito dopo,
giusto il tempo per afferrare che non si trattava di un incubo ma di un fatto reale. Il male sembrò calare
e mi concentrai osservando i suoi movimenti, sul suo bacino che implacabile andava avanti e indietro proporzionalmente al suo cazzo che entrava e usciva contemporaneamente dal mio culo. Poi lo studiai
nel volto, aveva gli occhi che si aprivano e si chiudevano, le labbra che si stringevano, la testa che
roteava nelle più impensabili posizioni, e tutto quel sudore che scendeva da quella fronte. Erano tutte espressioni di chi sta godendo.
Sbuffò come una locomotiva a vapore quando estrasse il suo paletto dal mio interno per poi spruzzare
verso l’alto diversi zampilli pari a quelli di una fontana. Chiusi gli occhi per paura mi colpissero in faccia
ma si fermarono prima ricadendo tutti sulla mia maglietta e sul nastro adesivo con cui mi aveva avvolto.
Si sdraiò stremato sopra di me accarezzandomi con la mano ancora sporca di sperma. Mi toccò le
guance, il collo, le labbra che si stavano imbrattando del suo seme. Ebbi come l’impulso di sputare e
prevedendolo mi entrò in bocca con la lingua e col mio palato misi a fuoco il sapore dolce amaro dei
suoi genitali. Trattenni i conati, se per caso avessi vomitato me l’avrebbe fatta pagare molto cara.
“Ti è piaciuto vero?” disse sbuffando ancora e baciandomi poi tutto il viso. “Adesso tocca te! Ti porterò
in paradiso”. Ritornò a lavorarsi il mio uccello che incredibilmento non si era ancora fiappato da quando
mi aveva messo in culo il suo. Mi spompinò per due minuti buoni aiutandosi con la mano che intanto
mi masturbava velocemente. Sentivo che stavo per venire, non potevo più trattenermi, avrei voluto zittire
i versi che invece mi uscirono prepotenti come valvola di sfogo. Sborrai provando un piacere disumano. Inarcai il bacino conficcandogli il mio cazzo ancora più in gola, ma lui non lo mollava, continuava a
succhiare, a succhiare e a bere. Non se ne perse una molecola.
Si staccò solo quando fu sicuro che ogni mia goccia era stata ingerita. Ritornò a mettersi in piedi
leccandosi le labbra e mostrandomi di nuovo il suo sorriso splendente. “Sei stato bravo! Vorrei tanto
restare ancora qui, con te, ma adesso si è fatti tardi, devo andare!”. Mentre diceva questo prese
una fialetta dalla tasca dei pantaloni che si era appena rinfilato. Se la portò alla bocca e poi bevve.
Non capii immediatamente il senso di quel gesto. Ma quando riattaccò le labbra alle mie facendo fluire
ciò che sembrava avesse ingerito intuii che poteva solo essere sonnifero. Mi dimenai cercando in tutti i
modi di non deglutire, ma tutta la sua saliva con cui si stava lavando dalle tracce del sedativo mi riempì
la bocca. Per non soffocare dovetti per forza mandar giù. Si alzò di nuovo con un ghigno demoniaco
che deformava quell’espressione da bambino, caratteristica del suo volto. “Ci rivedremo ancora!”.
Furono le ultime parole che udii, dopodichè caddi in sonno profondo. Mi svegliai la mattina dopo ancora intorpidito. Erano circa le 10, almeno questa è l’ora che segnava l’orologio alla parete. Venne spontaneo strofinarmi la faccia con le mani. Ero libero. Mi guardai il petto e non vi era più traccia di cartanastro.
Sulla mia maglietta grigia invece ce n’erano di tracce. Macchie bianche, spesse, incrostate, formate
dal suo sperma che si era ormai seccato. E avevo la bocca ancora impastata di quel suo gusto amaro
mesciato al gusto ancora più amaro della fialetta che mi aveva costretto a bere. Mi alzai in piedi ma
ero ancora molto debole e caddi in ginocchio, sputando per terra e cominciando a piangere. Piangere,
un verbo che non avevo conosciuto prima di quella notte. Lentamente mi placai, mi alzai barcollando
per andare in bagno. Volevo fare una bella doccia bollente che mi riportasse alla realtà e lavasse via
tutto il ribrezzo di quello che mi era stato fatto.
Decisi di non denunciare l’accaduto alla polizia. Mi avrebbero fatto troppe domande e avrei dovuto
descrivere ogni particolare. Mi avrebbero condotto in ospedale e fatto esami. Mi avrebbero esplorato
anche il buco del culo per comprovare la violenza subita. Mi vergognavo. E mi vergognavo di finire sui
giornali. Perciò non dissi niente ai miei, ai miei amici, nè alla mia ragazza. Era un segreto che doveva
restare chiuso in me.
A distanza di mesi continuo ad osservare assiduo la casa di fronte, a studiarla, a esaminarla, ma non
vedo mai nessuno entrare o uscire. Non vedo mai nessuno alla finestra. Ho anche comprato un potente
binocolo e ho analizzato in ogni centimetro quei mattoni, quel tetto, quegli infissi, quella finestra. Sono
sicuro che lì non vi è nascosta alcuna telecamera. Ho anche fatto delle ricerche. La casa di fronte alla
mia risulta disabitata da anni e io non credo ai fantasmi.
Il mostro doveva avermi mentito, lui non abitava lì, non avrebbe mai potuto essere così ingenuo.
Ma sento sempre l’eco delle sue parole “CI RIVEDREMO ANCORA”. E quell’eco mi fa venire i brividi.

E da allora la notte mi fa paura. La notte, con i suoi vuoti e i suoi silenzi, con il suo buio ingannevole
così come è ingannevole la luce del diamante. Buio e luce, lunghezze d’onda diverse messe sullo
stesso piano. Di notte puoi nasconderti, puoi camminare a passi felpati come un gatto, puoi diventare
parte di quel buio e in quella parte di buio, di notte, tutto puo’ succedere

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